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"Cosa vuol dire essere tedeschi?" – Slesia – Polonia – Germania – vita famigliare – storia – osservazione a lungo termine

A due tempi - La trama

Nel 1988 il ventisettenne Waldemar Spałek si trasferí dalla Repubblica Popolare Polacca nella Repubblica Federale Tedesca, lasciando i genitori nella loro casa di Kolonowskie, paese che fino al 1935 si chiamava Collonowska e che venne mutato dai nazisti in Grafenweiler. Kolonowskie si trova nell'Alta Slesia, e piú precisamente nella Slesia di Opole, sulla riva orientale del fiume Odra. Da qui Varsavia dista 290 chilometri, Berlino 440, Praga 330 e Auschwitz 80. Fino al 1939 correva nelle immediate vicinanze il confine del Deutsches Reich.

Oggi Waldemar Spałek si chiama Spallek e vive a Saarbrücken, dove ha un impiego sovvenzionato dallo Stato al cinema "ottoemezzo".

Incontrai Waldemar Spallek per la prima all'inizio del 1998, quando ancora ero alla ricerca di un protagonista per A DUE TEMPI. Mi incuriosí il fatto che, a differenza di tanti altri slesiani "di origine tedesca", i suoi genitori e i suoi nonni erano rimasti nell'Alta Slesia. Cosí 10 anni dopo il suo trasferimento andai con Waldemar a trovare la sua famiglia, la quale vive in quella parte della Polonia che ancor oggi per molti fa parte delle "provincie orientali" della Germania. Qui ho trascorso quasi due anni, dedicandomi alla gente, il loro lavoro, i loro paesi e le cittá, la loro storia.

Oggi a Kolonowskie quasi ogni famiglia ha parenti in Germania. 

I genitori di Waldemar, Georg ed Elisabeth Spallek, sono pensionati. Lavoravano entrambi nella fabbrica statale per l'impermeabilizzazione del legname di Kolonowskie; lui in qualitá di manovratore di gru, lei all'ufficio del personale.

A DUE TEMPI è un confronto faccia a faccia tra padre e figlio, in cui la spontaneitá e l'intensitá delle emozioni hanno un ruolo importante. 

Ma anche altri componenti della grande famiglia di Waldemar trovano spazio per esprimere le proprie opinioni; ad esempio i cugini Leo e Janek, che sono rimasti nell'Alta Slesia e non parlano tedesco; oppure sua cugina Sabine che invece vive in Germania e che torna di tanto in tanto in Alta Slesia a trovare la famiglia. Importanti sono anche le figure di chi vive in Alta Slesia dopo essersi trasferito da altre zone della Polonia, come la moglie di Janek, Renia, o la signora Konieczko, ex maestra di Waldemar alla scuola elementare che viene dalle regioni dell'est.

Questa alternanza dá vita ad un ritmo cinematografico che intreccia opinioni di gente diversa con la loro vita quotidiana e la loro storia.

In A DUE TEMPI la piccola storia locale e familiare si fá storia con la S maiuscola. Quali sono i ricordi che riguardano la vita fianco a fianco di tedeschi, slesiani e polacchi nella odierna Slesia di Opole che da piú di 50 anni fa parte della Polonia? Questa è una delle domande che pone A DUE TEMPI, partendo dalla realtá di oggi, dalla vita quotidiana, dalle opinioni e convinzioni sia della gente semplice che dei loro rappresentanti e delle autoritá politiche.

Sulla base dei ricordi e delle esperienze delle persone interessate e della loro visione della storia, questo film va molto al di lá di un nostalgico viaggio in Slesia. Vuole al contrario fornire l'immagine concreta di una realtá che vive a lato dei vetusti "pregiudizi dei tedeschi" e delle dichiarazioni ufficiali del mondo della politica.

Considerando le molteplicitá etniche e le sovrapposizioni culturali in questa regione, tra apicultura e feste in famiglia, tra la scuola del paese e la parrocchia, il cinema "ottoemezzo" di Saarbrücken e i boschi della Slesia, A DUE TEMPI si pone non in ultimo ma per forza la domanda: cosa vuol dire essere tedeschi?

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A due tempi - Festivals

Leipzig, Germany, Int. Documentary and Animation Film Festival 1999

Saarbrücken, Germany, Max Ophüls Preis, Perspektiven des deutschsprachigen Films 2000

Osnabrück, Germany, Tage des unabhängigen Films 2000

Hannover, Germany, Inventur 7 - Filmschau Niedersachsen 2000

München, Germany, Int. Documentary Film Festival 2000

Krakau, Poland, Int. Documentary and Short Film Festival 2000

Saarbrücken, Germany, SaarLorLux Film- und Videofestival 2000

proposed for DEUTSCHER FILMPREIS 2000

Freistadt, Austria, Festival - Der neue Heimatfilm 2000

Krakau,Poland, 4th International Etnic TV Festival AT HOME, Kraków 2000

Zabrze, Poland, The International Festival of Documentaries on Regions 2000

Cadca, Slovakian Republic, XI. Etnofilm Festival 2000 (Slovakian Filminstitut, Bratislava)

Nominated for PRIX EUROPA - IRIS, Multicultural Television Programme of the Year 2000

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diario  della  settimana

lexikon des internationalen films

filmdienst

Leipziger Volkszeitung

S R - Fernsehen

S R - Hörfunk

Frankfurter Allgemeine Zeitung

DIE ZEIT

taz

d i a r i o  della  settimana, (Italia) 27.10.1999

Un film in programma al Festival di Lipsia ritrae la minoranza tedesca che vive nella regione dell'Alta Slesia: tedeschi che amano l'ordine lavorano sodo e detestano polacchi ed ebrei

La colonia

DI Goffredo De Pascale

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«Cosa significa essere tedesco?». La voce fuori campo di Benjamin Geissler è pacata, ma decisa. La donna sullo schermo ha una sessantina d'anni e un'espressione di stupore sul volto.

Non sa rispondere e lo fa nel modo più ovvio: «Tedeschi? Io sono tedesca. Anche lei è tedesco e chiede a me cosa significa!». Siamo nell'Alta Slesia, in Polonia, durante l'inverno e la primavera scorsa, quando cioè sono state effettuate le riprese di Zeitsprung (Salto di tempo), il documentario prodotto dalla Filmförderung di Amburgo e dalla Niedersächsischen in collaborazione con la Zdf, che sarà presentato in anteprima al Festival di Lipsia mercoledì 27 e giovedì 28 ottobre.

Le poche ed essenziali domande che il regista pone nel corso dei 90 minuti del film servono a illuminare le tessere di un mosaico che lentamente, spontaneamente, si va delineando attraverso una serie di sequenze di vita quotidiana che hanno come protagonisti i membri della comunità .tedesca: una famiglia, i vicini, la parrocchia, le associazioni, i luoghi di lavoro e di ritrovo... E, insomma, la storia di una minoranza economicamente forte, ben organizzata socialmente, che può contare sulle benedizioni e i buoni uffici del parroco locale e della Caritas, che a lungo ha messo a tacere il passato e adesso ne rivendica l'eredità, vagheggiando come valori la forza, il decisionismo, la purezza del popolo ariano e di conseguenza la sua superiorità. 1 riferimenti hitleriani, però, cominciano ad essere evidenti solo nella seconda parte del film, quando l'affresco oramai è completo: da questo punto di vista Geissler realizza un ottimo lavoro, riuscendo a mettere a contatto lo spettatore con la vita quotidiana dei personaggi, con le loro storie che sembrano somigliare a quelle di tanti altri, salvo poi svelarsi in tutto il loro orrore. Per analogia, quello che avviene ricorda la genesi di una formazione tumorale: all'inizio una cellula che prolifica ignorando le regole biologiche è un elemento atipico, marginale, ma la sua crescita, la sua azione, procede fino a devastare l'organismo e a portarlo alla morte.

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Diversamente dalla Bassa Slesia, prevalentemente protestante e di lingua tedesca, nell'Alta Slesia, cattolica, si parlavano il tedesco, il polacco e il wasserpolniseli, il dialetto locale. Durante il nazismo gli altoslesianì che si dichiaravano polacchi vennero deportati: dal 1939 al 1945 più di sei milioni di polacchi furono massacrati; di questi, tre milioni erano ebrei e due intellettuali, rappresentanti del mondo politico e clericale. Al termine della guerra i confini della Polonia furono slittati verso Ovest, con conseguente espulsione degli abitanti «di origine tedesca» dagli ex territori orientali della Germania destinati a quei polacchi costretti a lasciare le loro abitazioni nelle zone orientali del Paese, cedute all'Unione Sovietica. Secondo statistiche fornite dal governo di Berlino, i tre quarti della popolazione «di origine tedesca» entro il 1950 si sono trasferiti nella Repubblica Federale Tedesca. A coloro che invece sono rimasti in Polonia è stata posta la condizione di non avanzare pretese territoriali che si rifacessero ai vecchi confini. Oggi le discriminazioni, come documenta Zeitsprung, vengono proprio dalla minoranza tedesca, che dai tempi del cancellierato Kohl dispone di sovvenzioni governative per lo sviluppo delle piccole e medie imprese. Attività imprenditoriali, queste, gestite in modo tale da escludere una partecipazione dei cittadini polacchi, figurarsi poi se sono ebrei («Prima sul curriculum bisognava specificare se uno era ebreo, cattolico o protestante. Ora gli ebrei non lo devono più fare. Nessuno lo deve più fare. Per questo gli ebrei sono così mimetizzati», lamenta Willi, che vive e lavora a Kolonowskie, nella Slesia di Opole).

A tutto ciò si aggiunse il ritorno in «patria» di quei tedeschi che abbandonarono la Slesia nel dopoguerra e che oggi stanno passando di nuovo il confine, da pensionati. Le loro retribuzioni, mediamente comprese tra i 1.200 e i 2.100 marchi, sono fino a sei volte superiori agli stipendi degli slesiani: si va delineando così un gruppo di nuovi ricchi (ex gioventù nazista) a supporto di una minoranza che tale non è proprio intenzionata a rimanere.


lexikon des internationalen films - Zeitsprung 

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

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Politisch und gesellschaftlich brisante Dokumentation über die deutschstämmige Bevölkerung in Oberschlesien, in der sich in weiten Teilen noch eine "Heim-ins-Reich-Mentalität" bewahrt hat, die zu latenten Spannungen zwischen Polen und Deutschen führt. Vor dem Hintergrund einer wechselvollen Geschichte offenbaren sich Ressentiments, die in der politischen Diskussion für Zündstoff sorgen können.

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filmdienst 12/00 - Zeitsprung - 34 310  

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

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"Brandt und Genscher, die haben uns verraten. Sie haben uns verkauft", sagt Waldemars Mutter und deutet mit einer Handbewegung an, dass sie den ehemaligen Bundeskanzler um einen Kopf kürzer gemacht hätte. Waldemar Spalek siedelte 1988 mit 27 Jahren aus der Volksrepublik Polen in die Bundesrepublik Deutschland um. Seine Eltern ließ er in ihrem Haus in Kolonowskie zurück. Das Dorf liegt in Oberschlesien, genauer genommen im Oppelner Land, das vor 1939 zum Deutschen Reich gehörte. Heute lebt Waldemar in Saarbrücken und arbeitet im Kino "achtundhalb", wo er eine ABMStelle hat. Benjamin Geissler hat sich einem heiklen Thema angenommen, das seit dem Fall der Berliner Mauer polnische wie deutsche Dokumentaristen zunehmend beschäftigt: Schlesien und seine deutschstämmige Bevölkerung. Ähnlich wie Viola Stephan in "Slask/Schlesien" (1994) befragt er Vertreter deutscher Minderheiten in Polen, die im Oppelner Land die Mehrheit stellen, nach ihren Erfahrungen und Selbstverständnis. Seine Langzeitbeobachtung ist aber keine nostalgisehe Bestandsaufnahme aus einer vergessenen Region mit wechselvoller Geschichte, wenn auch die Frage nach der Identität im Mittelpunkt steht und Menschen davon berichten, wie es sie nach dem Krieg hierhin verschlagen hat oder warum sie als Alteingesessene geblieben sind. Mit der Westverschiebung Polens nach dem Zweiten Weltkrieg kam es zu der Aussiedlung der Deutschen aus Schlesien in die beiden deutschen Staaten, die bei der Potsdamer Friedenskonferenz beschlossen wurde. Im Gegenzug ließen sich in den ehemaligen deutschen Ostgebieten Polen aus Weißrussland und Ukraine nieder, die nach der Annektierung von einem Drittel des polnischen Staatsgebiets durch die Sowjetunion infolge des HitlerStalin-Paktes ebenfalls vertrieben wurden. Im Gegensatz aber zu Niederschlesien, wo die deutsche Bevölkerung beinahe vollständig umgesiedelt wurde, durften deutschstämmige Oberschlesier im Land bleiben, da man auf der polnischen Seite davon ausging, dass es sich bei dieser Bevölkerungsgruppe um germanisierte katholische Polen handle, die auch mit ihrer schlesischen Mundart einen altpolnischen Dialekt spricht.

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Um diesen Standpunkt zu verstehen, muss man wissen, dass die über 120 Jahre andauernde Aufteilung Polens dieses Land im Herzen Europas zu einem Schlachtfeld und kolonialen Vorhof der damaligen Großmächte Deutschland, Russland und Österreich gemacht hatte mit der Folge, dass die brachiale Assimilierungspolitik des zaristischen Russlands und des Deutschen Reichs entsprechende historische Hypotheken hinterließ. Zumal mit dem Hitler-Stalin-Pakt eine erneute Aufteilung Polens besiegelt wurde und die Nazis im vormals geteilten Oberschlesien mit ihrer Volkslisten-Politik polnischen Staatsbürgern die Möglichkeit boten, sich durch das Bekenntnis zur deutschen Volksgemeinschaft den Repressalien zu entziehen. Diese Zweideutigkeit der Optionen beim Unterschreiben der Volkslisten, das Ineinandergreifen der Kulturen, Mentalitäten, Sitten und Bräuche thematisierte der Schlesien-Barde Kazimierz Kutz in dem Film "Das Losungswort" (1984). Die Geschichte Oberschlesiens gleicht einem Flickteppich: Kämpfe, Mythen, Sprachverwirrung in einer Region, die vielen gehört hat und deren Ureinwohner, allseits suspekt, sich in diesem Irrenhaus der Weltgeschichte in ihre regionale Identität flüchteten.

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Es ist ein kaum entwirrbares historisches Gemenge, das politisch auf beiden Seiten der Oder-Neiße-Grenze immer noch (oder aufs Neue) für viel politischen Sprengstoff sorgen könnte, sollte jemand auf die Idee kommen, diese historischen Implikationen instrumentalisieren zu wollen. Nicht zufällig vergleicht eine junge Betroffene, die selbst als Spätaussiedlerin nach Deutschland gegangen ist, im Gespräch mit Waldemars Mutter die starrköpfige Haltung ihrer Elterngeneration mit den ethnisch motivierten Kriegen in Ex-Jugosiawien. Sie steht zu ihrer Sozialisation in Polen und spricht mit ihren Kindern in Deutschland polnisch, weil sie glaubt, sich dafür nicht zu schämen brauchen, während Waldemars Mutter Schlesien als eine deutsche Exklave betrachtet und alles Polnische wie der Teufel das Weihwasser scheut. Ähnliches hört man aus dem Umkreis ihrer Familie: Dumpfer Rassismus und unverstellter Antisemitismus, Nazi-Mythen und Hitler-Legenden, wie sie von Ewiggestrigen hierzulande auch nicht anders zu vernehmen sind. Geissler begleitet Waldemar auf seiner alljährlichen Reise in das Heimatdorf, spricht mit seinen Eltern und Verwandten, beobachtet ihren Alltag, besucht den deutschgesinnten Pfarrer vor Ort und den politischen Verband der deutschstämmigen Minderheit, der in der Region mittlerweile die meisten Bürgermeister stellt. Bei einer der Wahlkampfveranstaltungen ist in Person Jürgen Rüttgers auch die politische Prominenz aus Deutschland zugegen. Dass man sich auf diesem Terrain in einem Minenfeld der Vorurteile bewegt, belegen umgekehrt die Auskünfte von Polen, die in den letzten Jahren zunehmend mit unverhohlener Ablehnung konfrontiert werden: Während Waldemars Grundschullehrerin resigniert von dem zur Schau gestellten Gesinnungswandel ihrer Mitbürger berichtet, ist eine junge Frau, die in die Familie eingeheiratet hat, erleichtert, dass sie endlich offen von der Häme sprechen kann, die ihr entgegenschlägt. Für ihren Mann wird darin auch ein Generationskonflikt sichtbar: Die Alten, noch in Nazi-Deutschland indoktriniert, haben es sich zu einer Gewohnheit gemacht, Polen als Menschen zweiter Klasse zu betrachten und würden davon, wie ein süchtiger Raucher oder Alkoholiker, einfach nicht lassen können.

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Der "Zeitsprung" in die allgegenwärtige Vergangenheit offenbart aber nicht nur die Abgründe unreflektierter Ressentiments in einer Region, die im Kalten Krieg weiter Zankapfel zwischen ideologischen Kontrahenten blieb und wo die Erinnerung nicht geteilt werden kann: Ob Fixierung des öffentlichen Interesses im kommunistischen Polen auf das historische Schuldenregister der Deutschen oder westdeutscher Revanchismus - in Oberschlesien begünstigte beides nur durch Hochmut kompensierte Minderwertigkeitskomplexe. Nach ihrem Selbstverständis als Deutsche befragt, geraten Waldemars Eltern ebenso in Erklärungsnot wie anbetrachtet der Tatsache, dass ihr Sohn homosexuell ist und im "Dritten Reich" zu den Opfern des Rassen- und Eugenik-Wahns gehört hätte. Die psychologischen Abgründe ihrer atavistischen Haltung macht der Film erst richtig deutlich, wenn die Mutter verstohlen davon berichtet, ihr Mann wollte niemals nach Deutschland gehen, da er Angst hatte, als Pole betrachtet zu werden. Sie hätten heute von ihrer Rente dort auch nicht leben können. Dafür kehren viele Nachbarn nach ihrer Pensionierung in Deutschland zurück.

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Als Waldemar in Saarbrücken die Wehrmacht-Ausstellung besucht und im Kino, das ein Begleitprogramm zum Thema startet, Bombendrohungen eingehen, schließt sich der Kreis. Auch sein Großvater war als Gefreiter im Einsatz gegen polnische Partisanen und vielleicht sogar Juden, wovon Fotos in dem Familienalbum Zeugnis ablegen. Geisslers Film mag diesseits und jenseits der Oder Kontroversen auslösen. Angesichts des politischen Schönwetter-Geplänkels liefert er genügend explosiven Diskussionsstoff. 
Margarete Wach

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Leipziger Volkszeitung vom 2.11.1999 - Zeitsprung 

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

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Historie als fortlebendes Problem

... Ganz anders der freie Filmemacher Benjamin Geissler. Er zeigt deutsche Geschichte als Reflex in der Gegenwart, als fortlebendes Problem. "Zeitsprung" ist eine Annäherung an das heikle und ungeliebte Thema Oberschlesien. Geissler porträtiert ein deutschstämmiges Ehepaar aus Polen. Er stößt dabei auf eine dumpf-nazistische Gesinnung in der älteren Generation. Und er schafft es, sie zu zeigen, ohne die Porträtierten als Ewiggestrige zu denunzieren. Ein sensibler Film über herumgeschubste Menschen am Rand der Historie und ihr unverdautes Lebenstrauma. Ralph Gambihler

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Saarländischer Rundfunk - Fernsehen - Sendung vom 1.2.2000

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

"Ein mutiger Film, der Zuschauer und Vorurteile bewegt."

"Zeitsprung" Bericht: Frédérique Veith 4'20"

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Saarländischer Rundfunk - Hörfunk - Sendung vom 28.1.2000

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

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"Durch die Methode der einfühlsamen filmischen Langzeitbeobachtung, und auch durch die langen, ruhigen beobachtenden Einstellungen, gerät der Zuschauer in privat anmutende Szenen. Er sieht Menschen in der größtmöglichen Authentizität, keine Figuren. Das macht die Rezeption schwieriger: Auch dann, wenn Meinungen geäußert werden, die einen gruseln, werden sie von Menschen geäußert, die man mögen möchte. ...

In diesem Film über Identität, Anpassung und Widerstand in den Zeitläufen findet die intensive Auseinandersetzung eines Sohnes mit dem Vater ihren Kulminationspunkt in der Szene über das Thema Homosexualität..."

SR 2 - Thema: "Ich wohne in Deutschland ich komme aus Polen und ich bin Schlesier"

30' Radio Feature von Uschi Schmidt-Fehringer und Andreas Lenhard zu "Zeitsprung"

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Frankfurter Allgemeine Zeitung - Feuilleton / Montag, 5. Juni 2000, Nr. 129

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

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Väter und Söhne

Warum Waldemar nach Osten aufbrach: "Zeitsprung" (ZDF)

Wer denkt schon Arges, wenn ein Sohn zu seinen Eltern in die Heimat fährt. Gewiss, zwischen den Wohnorten liegt eine Grenze, die deutsch-polnische, aber da die Familie zur Volksgruppe der Schlesierdeutschen gehört und man sich in drei Sprachen verständigen kann, auf Deutsch, Polnisch und Schlesisch, dem so genannten "Wasserpolnisch", dürfte das Wiedersehen im einstigen Oppelner Land nichts trüben.

Doch Söhne können einen Hass gegen den Vater im Herzen tragen und ein Messer unter dem Gewand. Das Messer des 1988 nach Saarbrücken ausgereisten Waldemar Spallek ist die Kamera Benjamin Geisslers, der mit "Zeitsprung" seinen dritten Dokumentarfilm fertig stellte. Mit Geisslers Eindringen in das schmucke Einfamilienhaus in Kolonowskie, einem Ort zwischen Oppeln und Gleiwitz, wird aus der Vater-Sohn-Begegnung ein Schauprozess, bei dem Waldemar den Vernehmungsrichter und Regisseur Geissler den Staatsanwalt spielt.

Welche Schuld lastet auf Georg Spallek, der bei Kriegsende zehn Jahre war, und seiner wenig jüngeren Frau? Dank ihrer polnischen Sprachkenntnis wurden die Eltern als germanisierte Polen betrachtet und von der Aussiedlung verschont. Zu Hause sprach man fortan jahrzehntelang fast immer Polnisch. Der Verdienst in einem staatlichen Betrieb verhalfen dem Paar zu einem eigenen Anwesen. Georg Spallek trat der unabhängigen Gewerkschaft Solidarnosc bei, und als der Sozialismus zusammenbrach, freute er sich, dass es in dem mehrheitlich von Schlesierdeutschen bewohnten Dorf wieder deutschen Gottesdienst gab und man einen deutschen Abgeordneten in den Sejm schicken durfte. Heute besitzt das Ehepaar einen polnischen und einen deutschen Pass.

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Geissler braucht viele Minuten, um die Situation zu skizzieren, vor allem weil er immer wieder nach Saarbrücken zurückblickt, wo Waldemar in einem Programmkino eine Anstellung gefunden hat. Der Sohn hängt an der Heimat, die er mit siebenundzwanzig verließ. Gern sieht er die polnischen Nachbarn wieder, mit denen er aufwuchs, auch an Mutters Herd fühlt er sich wohl, aber der Groll gegen den Vater sitzt tief. Es gehört zu den schiefen Seiten des Films, dass nur wer haarscharf aufpasst den Grund dafür erfährt: Waldemar kehrte Oberschlesien den Rücken, weil er als Homosexueller in der Bundesrepublik mehr Freizügigkeit erwarten konnte als in der katholischen Volksrepublik. Die Eltern mag die Neigung ihres Sohnes verstört haben. Nun wird ihnen daraus von Waldemar und von Geissler eine Falle gestellt.

Der Schnaps fließt, bis der Vater endlich gesteht, vom Anblick marschierender Wehrmachtssoldaten im Fernsehen erhoben zu sein. Polen, fügt er vor seinem Bienenhaus hinzu, brauche einen Hitler, der für Ordnung sorgt.

Der Vater als potenzieller Sohnesmörder, ärger und böser konnte Geissler die deutsche Minderheit in Oberschlesien, die der Mann hier repräsentiert, nicht bloßstellen. Eifrig ist er befremdlichen Redensarten bei den Nachbarn auf der Spur und deutet sie als Marschsignale einer fünften Kolonne, die auf einen Tag X wartet. Eifernd drängt sich Geissler ins Gespräch zwischen Vater und Sohn, und damit kein Zweifel an seiner Gesinnung aufkommt, webt er eine Begegnung in der Saarbrücker Wehrmachtsausstellung in die ambitionierte schlesische Collage.

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Für dokumentarische Nüchternheit bleibt da wenig Raum. Geissler entgeht das geistige Klima. Die Wirrnis Osteuropas auf dem langen Weg von der Diktatur zu der hier fast unbekannten Demokratie wirbelt auch Waldemars Eltern dumme Redensarten ins Haus. Es sind unverantwortliche Sprüche, die Vergangenheit verharmlosend, denn sie begehren vor allem biertischhaft Ruhe, Ordnung und ein Mindestmaß an sozialer Sicherheit herbei. Dies zu erkennen und zu gestalten, - ist Geisslers unsensibler Film überfordert. 
HANS-JÖRG ROTHER

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taz Hamburg vom 28.6.2000 - Kultur

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

Banalität des Bösen

Im Dokumentarfilm Zeitsprung wird Familie exemplarisch zu einem befragenswerten Ort

Die Spalleks aus Oberschlesien in Polen sind ganz normale Leute. Elisabeth Spallek ist eine resolute Frau, die ungemein leckere Kartoffelklöße kocht. Und Georg Spallek widmet seinen Lebensabend fleissigen Bienen und dem häuslichen Garten. Nur die Söhne Sebastian und Waldemar fehlen im Alltag, denn beide sind nach Deutschland ausgesiedelt. Aber auch das ist im Örtchen Kolonowski nicht ungewöhnlich. Schließlich gehört es zu den ehemaligen deutschen Kolonien im Osten, und der deutschstämmigen Bevölkerung steht die Aussiedlung frei. Dass die Spallecks mit einer deutschen Herkunft versehen sind, ist in den elterlichen Augen eine Auszeichnung. Denn Elisabeth und Georg Spallek pflegen ein ungebrochen beipflichtendes Verhältnis zum Nationalsozialismus und stehen seiner Ideologie keineswegs fern. Davon erzählt der Dokumentarfilm Zeitsprung, der heute in Anwesenheit des Regisseurs Benjamin Geissler erstmals in Hamburg gezeigt wird.

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Geissler begleitete Sohn Waldemar Spallek auf mehreren Besuchen zu seinen Eltern. Im Zentrum des Films stehen Waldemars Versuche, sich mit der Familie und ihrer politischen Einstellung auseinander zu setzen. Geissler filmt und enthält sich zumeist einer offensichtlichen Kommentierung, greift nicht in die Unterhaltungen ein. Dadurch geraten Gesprächsdynamiken in den Vordergrund, die hinsichtlich der Frage, wie nazistische Überzeugungen aufrecht erhalten werden, sehr aufschlussreich sind. Gemeinsam sieht man sich Fotografien an, die der Großvater während seiner Wehrmachtszeit aufgenommen hat. Auf ihnen sind unter anderem polnische Partisanen zu sehen, die von der Wehrmacht ergriffen wurden und nun von der Erschießung bedroht sind. Waldemars Vater scheint diese Situation zu ignorieren und verfängt sich statt dessen in Schilderungen darüber, welchen militärischen Rang die Personen auf den Fotos einnehmen. Als im nächsten Foto zwei orthodoxe Juden zu sehen sind, kommentiert Georg Spallek sachlich, dieses seien Juden.

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Die Eltern Waldemars sind überzeugt, dass "die Juden" durch ihren vermeintlichen Reichtum die Weltherrschaft erlangen. Außerdem seien diese "überall auf der Welt" anzutreffen - gerade so, als habe die Verfolgung, Vertreibung und Vernichtung von Juden und JüdInnen gar nicht stattgefunden. Sie haben offensichtlich einen Zeitsprung vollzogen, sich mit dem Ende nationalsozialistischer Herrschaft nie auseinander gesetzt. Und in den halbintimen Situationen vor der Kamera wird schon einmal leise gesagt, auch die PolInnen seien eigentlich Untermenschen. Das ist umso brisanter, als sie Zeit ihres Lebens mit PolInnen zusammengelebt haben. Selbst der Hinweis von Waldemar, dass er als Schwuler unweigerlich der nationalsozialistischen Verfolgung ausgesetzt gewesen wäre, ruft kein Nachdenken hervor.

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Der Film liefert ein Portrait von Menschen, für die Hitler ein Held war. Und er zeigt, daß überzeugte Nazis durchaus liebenswerte Menschen sein können. Der intime und alltägliche Bereich der Familie wird so zu einem befragenswerten Ort. Gerade darin liegt die Stärke des Films. Denn zu einer Auseinandersetzung mit den Geschehnissen während des Nationalsozialismus gehört unweigerlich die Beschäftigung mit den deutschen TäterInnen und jenen Menschen, die sich mit ihnen identifizieren. Dass der Faschismus in manchen Köpfen weiterlebt, ist zumindest in diesem Film kein Geheimnis. Doro Wiese

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DIE ZEIT - Nr. 24 , 8. JUNI 2000

(Al momento disponibile solo in tedesco.)

Restlos verkauft

Zeitsprung

Der Krieg war schon fast zu Ende, da wurde der Siebzehnjährige noch eingezogen. Er geriet in belgische Gefangenschaft. Als er freikam und in seine Heimat zurückging, da dauerte es nicht mehr lange, und er jobte plötzlich in Polen. "Wir wurden restlos verkauft", das ist sein Fazit. Der Hitler müsste wiederauferstehen, der würde Ordnung schaffen. Denn was ist das heute für ein Durcheinander! Ist er nun Deutscher? Schlesier? Pole? Alles drei?

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Es ist schwer, sich politisch korrekt auszudrücken, wenn man über Schlesien redet, es ist so gut wie unmöglich, wenn man aus Schlesien stammt. Der Filmemacher Benjamin Geissler hat Bewohner eines Fleckens zwischen Oppeln und Gleiwitz (politisch inkorrekt, denn es sind die alten deutschen Namen für inzwischen polnische Städte) nach ihren Wurzeln befragt und allerlei Seltsamkeiten zutage gefördert. Sie nennen sich "Deutsche in Polen", "Deutschstämmige aus der Region Oberschlesien", "Schlesier", "Polen" und sprechen drei Sprachen: Deutsch, Schlesisch, Polnisch. je älter sie sind, desto größer ist die Wahrscheinlichkeit, dass nazistische Ideologien Urständ feiern, sowie man fragend nachbohrt oder auf dem Dorffest Alkohol die Zunge löst.

Die Jüngeren flüchten sich nach "Europa", um der Wirrnis zu entkommen. Auch für sie gilt, dass sie ihre deutschen Wurzeln nicht einfach abhacken wollen, doch sie leiden zugleich darunter, dass "alles Polnische als zweitklassig angesehen wird". Denn sie fühlen sich auch als Polen. Und sie wissen, dass sie mit ihrem Dilemma allein sind. "Der großen Politik sind wir nur peinlich."

Geisslers Film bemüht sich, die schlesische Frage ganz aus der Perspektive des Privaten, vom Familienfoto und vom Kaffeetisch her, zu stellen; wir sollen seine Dorfbewohner als Menschen anerkennen, um sie so als Angehörige verschiedener Nationen besser zu verstehen. ... BARBARA SICHTERMANN

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Presupposti storici

Diversamente dalla Bassa Slesia prevalentemente protestante e di lingua tedesca, nell'Alta Slesia cattolica si parlava, oltre al tedesco e al polacco il dialetto locale, chiamato "wasserpolnisch". Questo dialetto, comprensibile ad un polacco di Varsavia, è completamente inaccessibile ad un tedesco di Berlino.

Con l'invasione della Polonia la Germania di Hitler diede l'avvio alla Seconda Guerra Mondiale. Durante il nazismo gli Altoslesiani che si dichiaravano polacchi vennero rinchiusi in campo di concentramento. Dal 1939 al 1945, durante l'occupazione tedesca, piú di sei milioni di polacchi furono massacrati secondo un piano ben preciso; di questi tre milioni erano ebrei e due intellettuali, rappresentanti del mondo politico e clericale.

Una delle conseguenze della guerra di sterminio intrapresa dai tedeschi fu lo slittamento verso ovest dei confini della Polonia, che fu la causa dell'espulsione degli abitanti di "origine tedesca" dagli ex territori orientali della Germania, che andavano ora a far parte della Polonia. Questi territori dovevano diventare terra d'insediamento per i polacchi costretti a lasciare le loro case nelle zone orientali della Polonia, cedute all' Unione Sovietica.

Secondo statistiche tedesche i 3/4 della popolazione di "origine tedesca" si è trasferita entro il 1950 nella Repubblica Federale Tedesca.

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I motivi di questo spostamento sono di varia natura: paura di rivalse; il sistema politico, che sotto il governo polacco si stava dirigendo in una direzione precisa; il desiderio di tenere unita la famiglia; il sentimento di appartenza alla cultura tedesca.
Quegli slesiani di origine tedesca che vollero rimanere in Polonia furono riabilitati a condizione che non avanzassero pretese territoriali rifacentesi ai vecchi confini o divulgassero tali idee.
Al contrario della Bassa Slesia, in cui oggi la popolazione di "origine tedesca" è praticamente assente, in Alta Slesia il governo polacco non intraprese operazioni di espulsione, considerando gli abitanti locali quali polacchi cattolici tedeschizzati, poiché parlavano un dialetto polacco.
Oggi la Polonia è membro della NATO ed della Unione Europa. Ciò nonostante tra i "tedeschi" regna ancora sovrana una profonda ignoranza e sopravvivono sconcertanti pregiudizi nei confronti dei polacchi; d'altro canto da ambo le parti nel mondo diplomatico si parla di rapporti che migliorano di giorno in giorno. E i conflitti esistenti vengono spesso nascosti, accantonati, o non presi in considerazione. Il vuoto che tale atteggiamento va a creare viene colmato perciò da coloro che hanno una facile presa sulla popolazione e che spesso trovano appoggi economici e politici ad alto livello.

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Credits

A DUE TEMPI - a Documentary by Benjamin Geissler

con Elisabeth Spallek, Georg Spallek, Waldemar Spallek

inoltre parenti e conoscenti, una insegnante, un parroco, rappresentanti politici, ciclisti e molti altri

Idea e regia: Benjamin Geissler

Camera: Benjamin Geissler , Marian Czura

Sonoro: Marek Śląski , Peter Stockhaus

Assistenti alla regia: Sandra Ewers , Nadia Malverti

Musica: Guglielmo Pagnozzi

Montaggio: Benjamin Geissler

Mixage: Studio Funk, Markus Braack

Direttore di produzione: Peter Stockhaus

Redazione: ZDF - Das Kleine Fernsehspiel , Hans Kutnewsky

Una Benjamin Geissler Filmproduktion

con l'appoggio della Filmförderung Hamburg e il fondo della Bassa Sassonia per la Cinematografia in coproduzione con la ZDF

© 1999 Benjamin Geissler Filmproduktion / ZDF

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Dati technici - A due tempi

Durata e formato:  96'30" minuti, 35 mm / colore / schermo: 1:1,37

Durata in Video (DVD, VHS + Beta SP, Digi - Beta): 92'30" minuti / colore / 1:1,37

Versione originale:  tedesco, polacco e (slesiano) con sottotitoli tedeschi

Versione inglese:     tedesco, polacco e (slesiano) con sottotitoli inglesi

Girato da  Maggio 1998  a  Febrario 1999

Luoghi di riprese:  Kolonowskie, Alta Slesia/Polonia, Saarbrücken e altri luoghi /Germania

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Distribuzione - A due tempi

World Sales e

Benjamin Geissler Filmproduktion

Grandweg 90 B

D-22529 Hamburg

Tel.: +49 - 40 - 551 66 82

Fax: +49 - 40 - 551 66 82

info(at)benjamingeissler.de

Distribuzione in 35 mm 

Stiftung Deutsche Kinemathek, Berlin

info(at)kinemathek.de

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